Intervista a Mux
A qualche giorno dalla release di #Artificialscape, non contenti del comunicato e della biografia, abbiamo deciso di volerne sapere di più e di fare quattro chiacchiere con Gian Paolo Fioretti aka Mux.
Ne traspare, oltre l’indubbia capacità artistica, anche uno spessore umano non indifferente.
Buona lettura!
Ciao Gian, finalmente abbiamo il piacere di averti su #Beatmakings!
Il tuo album d’esordio ci ha particolarmente colpito, al punto di volerne sapere sempre più sulla tua musica ma anche sulla tua persona. Ci racconti come nasce artisticamente Mux?
Ciao, il piacere è tutto mio. Mux nasce tra il 2015 ed il 2016 perché mia intenzione era quella di riavvicinarmi al beatmaking dopo aver trascorso vari anni a produrre musica di altro tipo con tecniche differenti, anche se ho iniziato a produrre beat agli inizi del 2000 con il nome di Dj Vis. Dopo vari lavori però è tornato il “mojo” del digging e del sample, ma, ovviamente, quando mi sono riapprocciato alla composizione avevo ormai acquisito inconsapevolmente altre influenze, influenze credo riconoscibili in #Artificialscape.
Quali sono gli artisti che hanno avuto maggior influenza sul tuo stile?
È difficile rispondere a questa domanda con pochi nomi, ne sono veramente tanti. Potrei partire da J Dilla, Flying Lotus, Dj Shadow, Dj Premier ed El P fino ad arrivare a Iannis Xenakis, John Cage o Steve Reich ma anche Liam Howlett, Bonobo, Burial, i Noisia, Icicle, Petit Biscuit, Flume. È stata importante, sopratutto nella mia adolescenza, anche la grande scuola del beatmaking italiano come Fritz da Cat, Dj Shocca, Dj Skizo, Squarta, Gopher/Unto Ke ed uno su tutti Deda/Katzuma.
Artificialscape più che un EP d’esordio, pare un punto d’arrivo.
E’ un disco completo e maturo sia sotto l’aspetto creativo che tecnico, oltre che per l’alone quasi filosofico che lo avvolge: come si arriva ad un tale equilibrio delle parti nella produzione?
Mi fa molto piacere che l’EP vi abbia trasmesso questa sensazione, ma ad essere sincero non so come abbia raggiunto questo tipo d’equilibrio nelle produzioni. Non c’è una formula precostituita. Negli anni ho acquisito un metodo nella produzione, ma l’ispirazione e l’estetica variano, di volta in volta, in base al brano. Sicuramente mi hanno aiutato molto gli studi fatti al Conservatorio, principalmente perché hanno modificato il mio approccio alla composizione, incrementando così l’attenzione all’ascolto e alla scelta del suono oltre che all’aspetto strettamente tecnico. Anche le tante esperienze acquisite negli anni, i vari concerti/dischi ascoltati, i libri letti, i viaggi, gli incontri/scontri con le persone conosciute e le mostre che ho visto nel tempo hanno contribuito alla mia crescita sia artistica che personale.
Che cosa rappresenta per te il beatmaking?
La libertà. È sicuramente l’approccio più slegato alle logiche compositive che ho trovato in ambito musicale, offre la possibilità di muoversi in uno spazio infinito senza delle regole
fisse/rigide. Per creare si può partire sia da un brano già esistente che da un singolo suono o addirittura dal nulla. Ogni cosa può essere fonte d’ispirazione, non solo in forma astratta ma concretamente.
Come nasce un beat di Mux? C’è una metodologia ricorrente nella nascita del beat? Sei affezionato a qualche strumento in particolare, analogico o digitale che sia?
Come ho accennato prima negli anni ho sviluppato una metodologia, solitamente parto da un singolo loop, che può essere una melodia, una progressione di accordi o un groove di batteria, basta che funzioni anche da solo. Da lì inizio a stratificare il brano e poi infine penso all’arrangiamento finale. Non sono particolarmente legato ad uno strumento, ma da quando è arrivato il Moog Sub Phatty a casa sono più felice.
Progetti futuri? Stai lavorando a qualcosa?
Per adesso sto lavorando con altri artisti e al nuovo materiale degli Ear Injury, il duo Drum and Bass/Electro di cui faccio parte. Sto pensando anche ad un concept per un secondo progetto, ma è tutto ancora “in divenire”.
C’è un messaggio che credi sia fondamentale sottolineare per far conoscere a pieno la tua arte?
Credo che sia fondamentale “l’ascolto”, il sapersi prendere del tempo per ascoltare la musica e non fermarsi unicamente ad una melodia accattivante o a qualcosa che possa essere riconducibile al “già sentito”. Nell’ascolto della musica è importante essere curiosi, uscire dalla “zona di comfort” ed esplorare territori nuovi. C’è sempre da guadagnare anche quando si crede di aver sprecato il proprio tempo.
Ringraziandoti per la chiacchierata – ma soprattutto per la creazione di #Artificialscape – ti auguriamo una prolifica avventura musicale, aspettando con ansia il tuo prossimo album!